Mi alzo, dopo essere riuscito a dormire quasi bene, e penso che potrebbe essere di lì a poco la peggiore giornata lavorativa mai trascorsa. Esco di casa e mi dirigo verso la prima, banale, tappa della mattina, una commissione in centro. Prima di rientare in ufficio però dovrò passare dall'ipotetico patibolo. Uscendo dalla prima commissione ovviamente non schizzetta più: diluvia. E sono al solito in bici. Mi dirigo, predestinato, verso il baratro nelle più classiche delle condizioni: becco e bastonato. Nel giro di un km scarso ho i jeans e le scarpe mézze. Mi sveglio dal torpore nel quale volevo annegare (mai scelta del verbo fu più azzeccata) e decido di pedalare verso casa per cambiarmi. Ovviamente, appena arrivato smette di piovere. Con una buona mezz'ora di ritardo vado incontro al mio destino. Doveva essere, nelle mie aspettative, una cosa cruenta ma relativamente veloce, una mezz'oretta mi ripetevo. Dopo due ore, sempre ovviamente, ero ancora lì.
Di cruento non c'è stato niente, tranne i pochi secondi utili per sentirmi pronunciare addosso un'unica frase, di quelle che si dicono anche se le circostanze permetterebbero di soprassedere e che però sono sputate fuori ugualmente facendo capire a chi ascolta, cioè io, cosa sopisce sotto la coltre di un atteggiamento falsamente collaborativo. E anche cosa potrebbe sopire nel breve futuro. E questo, dopo qualche oretta di calma interiore relativa per lo scampato patibolo, mi fa preoccupare non poco. Cosa aggiungere? Si avvicina la scadenza del contratto, e sinceramente non avrei voglia di lottare coi mulini a vento per salvaguardare il posto di lavoro solo alla lavativa di turno. Però il sospetto che alla fine otterrò solo questo si sta facendo sempre più strada.
Restarsene a letto sarebbe stata una fuga, però ogni tanto che gli altri rimangano da soli nel loro brodo sarebbe salutare, almeno per me.