02 marzo 2009

non ci sono più le mostre di una volta

La mostra su Darwin vista sabato scorso mi ha lasciato indifferente. Spiace di aver coinvolto tre persone, e potevano essere pure di più, ma una cosa organizzata in quella maniera non l'ho trovata utile. Forse se avessi completato sia L'origine delle specie che il libro sul viaggio compiuto sul Beagle Viaggio di un naturalista intorno al mondo avrei potuto fare da buon cicerone ai miei compagni museali.
Quello che critico è il solito approccio didattico al quale si assiste in Italia in molti ambiti, non solo in quello museale, in cui uno parla e gli altri ascoltano senza avere nessun tipo di interazione. Qui c'erano dei quadri riportanti delle informazioni e nulla di più. Forse un'audioguida avrebbe potuto essere d'aiuto, ma non ne sono convinto (all'inizio ho ascoltato brevemente una guida che parlava ad un gruppo e dalla quale ho cercato ben presto di allontarmi).
Ci sono stati comunque tre momenti salienti: la pagina di taccuino sul quale Darwin riportò per la prima volta una bozza di idea dell'evoluzione delle specie, la serie filetica degli equidi, i modelli di crescita embrionale di cinque generi di vertebrati.
Ecco, questi ultimi due argomenti erano trattati nella stessa saletta. La serie filetica della famiglia Equidae (il cavallo) è, all'interno dei Mammiferi, quella più completa: una storia che si sviluppa da 55 milioni di anni spiegata con ritrovamenti fossili in pratica senza soluzione di continuità.
I modelli di crescita embrionale stavano lì a dimostrare con le loro forme l'origine da un antenato comune. La cosa era di immediata comprensione anche per un neofito, ma forse un qualcosa in più in termini di spiegazione farebbe comprendere meglio l'importanza di questa e anche della cosa precedente. La saletta invece era piccola, affollata, e conteneva anche altre cose che non aiutavano a concentrarsi sulle cose veramente importanti lì presenti.
Di tutto il resto rimane ben poco. L'impressione è che anche gli altri siano rimasti delusi. Alla fine è rimasta solo la felicità di essere stati insieme per un giorno: ci siamo accontentati senza troppi sforzi.

Ieri, per far passare una mezz'oretta prima del treno per tornare a casa sono entrato dentro la basilica di S. Maria degli Angeli, in piazza Esedra. Bellissima. Si stava svolgendo una messa. Pochi fedeli, molti turisti, tutti intenti a fare foto, alcuni anche col flash. Mi è parso un momento surreale. In genere ho visto chiese, belle o brutte che fossero, in cui se c'era una funzione in svolgimento per entrare bisognava parteciparvi o comunque portare rispetto il più possibile per il luogo e per chi era lì per pregare.
Tutto quadra, mi son detto. La chiesa è fuori a cercare di metter su uno stato etico a morale cattolica, ed è assente dentro le sue basiliche, quasi che non possa, voglia o sappia occuparsi di fede e dei suoi fedeli.
Dentro la basilica c'era una serie di cartelloni componenti un percorso espositivo su Galileo. Ho curiosato un po': tutti riportavano citazioni dello stesso Galileo sulla grandezza di dio e della chiesa. Lì per lì sono rimasto perplesso, poi ho iniziato a sorridere. L'intenzione era chiara: volevano mostrare che anche Galileo fosse un fervido credente. Peccato che fu la chiesa di allora ad avere dei dubbi, non la scienza né di allora né di oggi. Ma che, forse in Italia non sappiamo più organizzare mostre?

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