Mi sento fortemente limitato dal non aver trovato online l'intera intervista fatta da Vanity Fair alla sen. Binetti. Ci sono due post che in questi giorni ne hanno richiamato alcuni passi significativi, credo. Uno di Ivan Scalfarotto e uno di Malvino.
Il primo si concentra sull'unica frase se la libertà debba essere considerata sempre un valore. Il secondo invece tocca più passi dell'intervista, sempre riconducibili alla scelta di Welby. I due post affrontano lo stesso argomento sotto due differenti aspetti: l'etica sulla quale fondare la scelta, e la traduzione dell'etica in comportamenti fattivi.
Per miei limiti, me li riconosco come tali, non riesco ad affrontare se non superficialmente i temi etici. I perché delle cose a volte non li colgo se non ho una traduzione pratica. Per questo mio modo di essere e sentire, dei due post segnalati sono colpito di più dalle parole trascritte da Malvino. Più vicine al mio sentire pratico.
Due frasi su tutte: "col dolore, purtroppo, bisogna conviverci" e "farlo accettare è il primo dei rimedi". L'ineluttabilità fatta azione.
Mi hanno fatto sorgere alcune domande: come si fa a far convivere col dolore un bambino colpito da metastasi alle ossa e come si fa a farglielo accettare. Come, con quali parole, ci si può rivolgere ad un bambino per farlo rassegnare all'ennesimo prelievo lombare per controllare lo stadio del decorso della sua malattia per avere solo la certezza dell'esito ultimo.
Ci sarà pure un'azione di convincimento efficace ma sincera; io però non riesco a trovarla. Ho perso il valore (questo lo sarà?) della testimonianza cristiana. Forse non lo so neanche riconoscere. So che un bambino che accetti un tale destino è considerato un testimone. Io però non la riconosco dall'alta parte, da quella di chi pronuncia tali parole aride di pietà.
Il primo si concentra sull'unica frase se la libertà debba essere considerata sempre un valore. Il secondo invece tocca più passi dell'intervista, sempre riconducibili alla scelta di Welby. I due post affrontano lo stesso argomento sotto due differenti aspetti: l'etica sulla quale fondare la scelta, e la traduzione dell'etica in comportamenti fattivi.
Per miei limiti, me li riconosco come tali, non riesco ad affrontare se non superficialmente i temi etici. I perché delle cose a volte non li colgo se non ho una traduzione pratica. Per questo mio modo di essere e sentire, dei due post segnalati sono colpito di più dalle parole trascritte da Malvino. Più vicine al mio sentire pratico.
Due frasi su tutte: "col dolore, purtroppo, bisogna conviverci" e "farlo accettare è il primo dei rimedi". L'ineluttabilità fatta azione.
Mi hanno fatto sorgere alcune domande: come si fa a far convivere col dolore un bambino colpito da metastasi alle ossa e come si fa a farglielo accettare. Come, con quali parole, ci si può rivolgere ad un bambino per farlo rassegnare all'ennesimo prelievo lombare per controllare lo stadio del decorso della sua malattia per avere solo la certezza dell'esito ultimo.
Ci sarà pure un'azione di convincimento efficace ma sincera; io però non riesco a trovarla. Ho perso il valore (questo lo sarà?) della testimonianza cristiana. Forse non lo so neanche riconoscere. So che un bambino che accetti un tale destino è considerato un testimone. Io però non la riconosco dall'alta parte, da quella di chi pronuncia tali parole aride di pietà.
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