Da qualche giorno ho finito di leggere due libri tra loro diversi pur se con delle importanti similitudini, per temi affrontati e per forme espressive.
I due libri sono Everyman di P. Roth e Scritto sul corpo di J. Winterson.
Due percorsi di sofferenza, di malattia. Il primo un percorso solitario, il secondo una trama di due amanti e l'angoscia della loro separazione. Per me di più facile lettura quello di Roth, mentre Scritto sul corpo, soprattutto all'inizio, mi è parso a tratti pesante; con il mio solito vizio di leggere quando mi corico non ho certo molte speranze di godere della lettura per come vorrei.
Per similitudini nelle forme espressive intendo in realtà lo stesso semplice artificio usato da entrambi gli autori: il nome dei due protagonisti non è mai svelato.
Immaginare per me, che sono campione nell'immedesimazione in almeno un paio di personaggi per trama, di non sapere il nome che a poco a poco con l'avanzare delle pagine riconosco quasi come il mio è cosa quasi impossibile. Non so se i processi di immedesimazione siano più confacenti ai bambini o agli adolescenti che agli adulti, certo è che questa è una cosa che ho da sempre mantenuto.
La lettura di Everyman e Scritto sul corpo si è trasformata per me in supplizio non perché coinvolto fino al midollo nelle situazioni descritte ma per via dell'assenza del nome. Molto è stato eclissato in funzione del nome. Quasi che fossi rimasto, addirittura, scandalizzato dagli autori.
Ho chiesto al mio scrittore scribacchino di riferimento una spiegazione ma, banali che sono questi artisti, non c'è nulla di originale perché le tecniche di spersonalizzazione tentano di appassionare il lettore.
Io, giustappunto, mi ci sono spazientito.
Forse è per questo che entrambi i libri li ho iniziati ad apprezzare dalla metà in poi. Prima ho controllato bene, e poi mi sono adeguato a leggere in luoghi dove i personaggi non hanno nome. E con la lettura son venute le fantasie in cui perdersi, le trame d'amore da costruire e poi distruggere, andare da solo, insieme. E' stato tutto ciò che ho potuto fare.
I due libri sono Everyman di P. Roth e Scritto sul corpo di J. Winterson.
Due percorsi di sofferenza, di malattia. Il primo un percorso solitario, il secondo una trama di due amanti e l'angoscia della loro separazione. Per me di più facile lettura quello di Roth, mentre Scritto sul corpo, soprattutto all'inizio, mi è parso a tratti pesante; con il mio solito vizio di leggere quando mi corico non ho certo molte speranze di godere della lettura per come vorrei.
Per similitudini nelle forme espressive intendo in realtà lo stesso semplice artificio usato da entrambi gli autori: il nome dei due protagonisti non è mai svelato.
Immaginare per me, che sono campione nell'immedesimazione in almeno un paio di personaggi per trama, di non sapere il nome che a poco a poco con l'avanzare delle pagine riconosco quasi come il mio è cosa quasi impossibile. Non so se i processi di immedesimazione siano più confacenti ai bambini o agli adolescenti che agli adulti, certo è che questa è una cosa che ho da sempre mantenuto.
La lettura di Everyman e Scritto sul corpo si è trasformata per me in supplizio non perché coinvolto fino al midollo nelle situazioni descritte ma per via dell'assenza del nome. Molto è stato eclissato in funzione del nome. Quasi che fossi rimasto, addirittura, scandalizzato dagli autori.
Ho chiesto al mio scrittore scribacchino di riferimento una spiegazione ma, banali che sono questi artisti, non c'è nulla di originale perché le tecniche di spersonalizzazione tentano di appassionare il lettore.
Io, giustappunto, mi ci sono spazientito.
Forse è per questo che entrambi i libri li ho iniziati ad apprezzare dalla metà in poi. Prima ho controllato bene, e poi mi sono adeguato a leggere in luoghi dove i personaggi non hanno nome. E con la lettura son venute le fantasie in cui perdersi, le trame d'amore da costruire e poi distruggere, andare da solo, insieme. E' stato tutto ciò che ho potuto fare.
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