Come si può leggere ogni tanto qui, o come si può capire ascoltandomi di persona, è facile che quando apra bocca dica quello che penso. Forse do l'impressione di farlo sempre, in realtà non è così, sia perché ci sono cose che preferisco finiscano presto piuttosto che alimentarle con polemiche, sia perché ogni tanto proprio non me la sento di fare il bastian contrari per non arrecare troppo disturbo. E poi non sempre, quando sto zitto, ho per forza qualcosa da dire che trattengo sulla punta della lingua.
Non è un caso che ogni piccola parte in cui ho suddiviso il post precedente contenga un finale sì scherzoso ma anche veritiero di quello che mi passava per la mente in quei momenti. E tutte cose che potevano benissimo essere non dette.
Con la sua consueta gentilezza, e le continue richieste di permesso, il buon Tito ha tenuto a dirmelo. Che agli altri non piace la verità. Quasi mai. Anch'io sono tra quelli a cui non piace la verità; perché faccio fatica ad accettarla. E quando sono arrivate le sberle me le son prese tutte e sempre, come se non bastassero le mie critiche a me stesso che ritengo essere tra le più dure.
Vuoi che non lo sappia Tito? gli ho risposto. E poi giù una serie di prese di giro a lui, in casa sua.
E' che alla fine ho capito che ci rimettevo troppo a darla vinta alla mia timidezza, sempre e comunque. Ma, come tutti quelli che in un modo o nell'altro possono definirsi tali, va quasi sempre a finire che non parlo, non argomento più di tanto, semplicemente sbotto, sparo, sentenzio, quasi che in una pur breve frase si debba concentrare tutto quello che avrei da dire, a mo' di sfogo anche se i toni sono scherzosi. La maggior parte delle volte mi mancano le parole; ma non le battute. E allora, almeno quelle, vengono fuori.
Ma queste cose si pagano. Difficile passarne indenni. E forse, nemmeno salutare. E', se non unicamente almeno in buona parte, una questione di scelta. Tra una rinuncia e una -supposta tale- onestà. E' più facile che scelga la seconda.
Immaginatevi questa scena, da una parte un Tito qualunque che chiede ad un Andrea qualunque, dopo essere stato in rispettosa attesa che l'ospite si chetasse, il permesso di chiedergli una cosa, e che questo concetto, forse per rafforzarne ancor di più il valore, venga ripetuto. Dall'altra parte quell'Andrea che vede che qualcuno sta aspettando che finisca di parlare (che aspetti!), e che poi, alla seconda ripetizione della richiesta di permesso per formulare la domanda si cheta (ma pensa tra sé e sé: che palle Tito, moviti a far sta' domanda! stringi! arriva al dunque!). Stavolta non te l'ho detto. Però te lo ho dovuto scrivere :)
Non è un caso che ogni piccola parte in cui ho suddiviso il post precedente contenga un finale sì scherzoso ma anche veritiero di quello che mi passava per la mente in quei momenti. E tutte cose che potevano benissimo essere non dette.
Con la sua consueta gentilezza, e le continue richieste di permesso, il buon Tito ha tenuto a dirmelo. Che agli altri non piace la verità. Quasi mai. Anch'io sono tra quelli a cui non piace la verità; perché faccio fatica ad accettarla. E quando sono arrivate le sberle me le son prese tutte e sempre, come se non bastassero le mie critiche a me stesso che ritengo essere tra le più dure.
Vuoi che non lo sappia Tito? gli ho risposto. E poi giù una serie di prese di giro a lui, in casa sua.
E' che alla fine ho capito che ci rimettevo troppo a darla vinta alla mia timidezza, sempre e comunque. Ma, come tutti quelli che in un modo o nell'altro possono definirsi tali, va quasi sempre a finire che non parlo, non argomento più di tanto, semplicemente sbotto, sparo, sentenzio, quasi che in una pur breve frase si debba concentrare tutto quello che avrei da dire, a mo' di sfogo anche se i toni sono scherzosi. La maggior parte delle volte mi mancano le parole; ma non le battute. E allora, almeno quelle, vengono fuori.
Ma queste cose si pagano. Difficile passarne indenni. E forse, nemmeno salutare. E', se non unicamente almeno in buona parte, una questione di scelta. Tra una rinuncia e una -supposta tale- onestà. E' più facile che scelga la seconda.
Immaginatevi questa scena, da una parte un Tito qualunque che chiede ad un Andrea qualunque, dopo essere stato in rispettosa attesa che l'ospite si chetasse, il permesso di chiedergli una cosa, e che questo concetto, forse per rafforzarne ancor di più il valore, venga ripetuto. Dall'altra parte quell'Andrea che vede che qualcuno sta aspettando che finisca di parlare (che aspetti!), e che poi, alla seconda ripetizione della richiesta di permesso per formulare la domanda si cheta (ma pensa tra sé e sé: che palle Tito, moviti a far sta' domanda! stringi! arriva al dunque!). Stavolta non te l'ho detto. Però te lo ho dovuto scrivere :)
2 commenti:
Non è un caso che ogni piccola parte in cui ho suddiviso il post precedente contenga un finale sì scherzoso ma anche veritiero di quello che mi passava per la mente in quei momenti.
Tipo, che alla domanda sul perché il mio compleanno venisse festeggiato nuovamente ti avrei dato una riposta banale? Perché, la domanda ti sembrava seria? :-)
E' vero. Sono un disastro. Sono colpevole delle tue ferite e dulcis in fondo ti ho rotto pure le palle. Non lo farò più
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